Hieronymus Bosch e un po’ di Follia

Hieronymus Bosch, La Nave dei folli

(di Marcella Andreini)

Nel 1494 esce il poema satirico La nave dei folli di Sebastian Brant (Strasburgo 1457-1521) dove è raccontato il viaggio che un  gruppo di pazzi intraprende per raggiungere Narragonien la terra promessa dei matti, luogo che non riusciranno a raggiungere a causa della stupidità che li porterà ad assecondare i vizi, l’imprudenza e la malvagità. Contemporaneamente, tra il 1490 e il 1550, esce La nave dei folli del pittore olandese Hieronymus Bosch (‘s-Hertogenbosch 1450 ca. – 1516). Il dipinto descrive una nave carica di passeggeri diretti per un viaggio senza meta, l’acqua su cui l’imbarcazione procede è scura, simbolo del peccato che rende impuri gli uomini, in questo dipinto, l’albero, da sempre simbolo della conoscenza del bene e del male, esclusiva di Dio, è presente in due varianti: è l’albero della nave trasformato in un albero della cuccagna alla cui sommità domina una civetta, simbolo dell’eresia; compare inoltre un albero sradicato, quindi privo di vita a cui è appeso un pesce, simbolo di Gesù, ad indicare la morte della purezza a causa degli uomini che con i loro peccati hanno ucciso il messaggio di Dio. Il simbolo della conoscenza è quindi distrutto, non esiste, secondo Bosch la distinzione tra bene e male si è trasformato nell’albero della Cuccagna. Bosch in questo quadro sembra condividere il pensiero del tempo che vede nel folle il corpo e l’anima del peccatore che si è allontanato da Dio. Nel quadro è insita anche una critica alla stessa Chiesa (la nave nell’arte paleocristiana indica la Chiesa) che naviga in acque peccaminose guidata da uomini viziosi. Dobbiamo infatti pensare che Bosch è contemporaneo e concittadino di Erasmo da Rotterdam (1466 ca. – 1536) ed entrambi membri della Confraternita di Nostra Signora che chiedeva ai propri appartenenti di combattere, anche attraverso i loro lavori, la corruzione e la licenziosità del tempo, è molto probabile quindi che Bosch conoscesse sia l’autore che il suo Elogio della Follia (1511), dove tra i “folli” rientrano i corrotti della Chiesa: << Ma ci sono nemici della Chiesa più dannosi degli empi pontefici? Son essi a lasciare sparire nel silenzio Cristo, a incatenarlo trafficando con le loro leggi, a corromperlo con interpretazioni sforzate, a sgozzarlo con la loro vita pestifera.>>

Apriamo una parentesi: il Medioevo è stata un’epoca di grandi e varie navigazioni: da quelle commerciali che, verso la fine del periodo, porteranno alla scoperta di nuove terre; alla navigazione che nella visione escatologica e letteraria conduceva l’uomo medievale ad approdare, dopo alterne vicende, alla visione ultima della propria vita, come nella Leggenda del pozzo di San Patrizio o nei Viaggi di San Brendano o nella Divina Commedia di Dante, solo per fare alcuni esempi; ma c’era anche la navigazione, che qui ci interessa, ed era la consuetudine, soprattutto durante il tardo Medioevo e il Rinascimento, di vedere navi cariche di folli che venivano respinte da un porto all’altro, veri e propri esclusi che viaggiavano per anni da una città all’altra senza mai arrivare ad una destinazione, viaggiatori senza un luogo di partenza ed un luogo di arrivo, nessun luogo di appartenenza, nessuna identità se non quelle del male e della dannazione. Questo era un fenomeno visibile soprattutto in Germania e dei Paesi Bassi, dove la rete fluviale interna permetteva alle popolazioni dei villaggi, che costeggiavano il fiume, di vedere il passaggio di queste navi cariche di persone “folli” destinate alla città principale. Prima di essere imbarcato il carico di folli era esibito al pubblico in gabbie di legno, e da questi poi fustigato e percosso, dopodiché aveva inizio il viaggio senza meta. Un vero e proprio evento sociale e religioso a cui, infatti, prendeva parte anche un rappresentante della Chiesa che recitava un rito di purificazione e benediva il carico di folli, che partiva così per un viaggio attraverso le acque purificatrici del fiume. L’inizio della purificazione, anche se avvenuta alla presenza di un prete, era in realtà una pulizia più della città che dell’anima dei peccatori. Tralasciando l’aspetto sociale, non possiamo non notare l’analogia tra il viaggio dei folli e il viaggio nel Purgatorio, luogo per la teologia cristiana atto all’espiazione dei peccati; sarà papa Innocenzo III (Anagni, Frosinone 1160 ca. – Roma 1216) che citerà tre tipi di Chiesa: una in Cielo, una in Terra e l’altra in Purgatorio; mentre i Dialoghi di papa Gregorio Magno (Roma 540 ca. – 604), dove sono raccolte storie che collocano il Purgatorio sulla terra e precisamente nelle terme, da sempre luogo di acque salubri e purificatrici, saranno utilizzati dal clero per la diffusione dell’idea del Purgatorio. Il viaggio del condannato alla follia – come d’altronde lo stesso viaggio dell’intera umanità – trova così il suo significato con la comparsa del Purgatorio. Chiudiamo la parentesi. 

L’estrazione della pietra della follia

Sempre in Bosch troviamo un’altra opera L’estrazione della pietra della follia (1475 – 1480, Madrid, Museo del Prado) dove un chirurgo con in testa un imbuto, simbolo della saggezza, è intento ad estrarre “la pietra della follia” dal cranio di un uomo; “avere una pietra nella testa”, infatti, era un modo del tempo per indicare la follia. Ma che cosa era esattamente quella pietra? Si può trovare una risposta ricorrendo al periodo pre-scientifico quando la malattia, sia mentale che fisica, era legata a cause soprannaturali, spiriti maligni e demoni che s’impossessano dell’uomo moralmente instabile. E’ probabile che il progresso scientifico e la consapevolezza delle proprie conoscenze abbiano fatto sì che l’uomo trasformasse il demone in qualcosa di ben delimitato come appunto una pietra, come a testimoniare il raggiungimento di credenze concrete su cui l’uomo può intervenire direttamente. La trapanazione del cranio, tuttavia, non era un’invenzione del Medioevo, sappiamo, infatti, di molti reperti archeologici risalenti al periodo paleolitico che testimoniano come questa pratica fosse diffusa nelle popolazioni legate a credenze animistiche per cui forare il cranio, ritenuto già d’allora sede dell’attività psichica, permetteva agli spiriti di uscire. La trapanazione era legata in antichità anche a riti magici e propiziatori ma ciò non si contrappone del tutto a quanto detto, poiché le stesse prime pratiche per la cura della follia altro non erano che degli esorcismi.

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