PIETRO ALDI, UNA VITA PER LA PITTURA

Le radici storiche, spesso, determinano il destino dell’uomo. Così è stato per Pietro Aldi e Paride Pascucci: due artisti nati a Manciano a pochi anni di distanza l’uno dall’altro, cresciuti nello stesso ambiente culturale (l’Accademia di Belle Arti di Siena), eppure tanto diversi per abito mentale  e per capacità di guardare il mondo attraverso la pittura. Diverso è il clima sociale in cui matura la personalità di Pietro Aldi. Appartenente ad una famiglia della piccola borghesia, visse la propria infanzia esaltandosi ai ricordi di suo padre che, nel 1848, studente universitario, aveva partecipato con il battaglione toscano alla prima guerra per l’indipendenza. Gli Aldi vantavano in famiglia il nome di qualche prelato, un titolo che anche in tempi di liberalismo, non guastava.

Autoritratto

Pietro Aldi nacque a Manciano il 26 luglio 1852 da Olinto e Teresa Leoni, una famiglia di agiati possidenti. All’età di undici anni venne mandato nel seminario di Montefiascone, forse con l’intento di avviarlo al sacerdozio. Ma l’Aldi, invece di studiare il latino, passava il tempo a disegnare cose e persone sui quaderni e perfino sulle pareti del Seminario. Richiamato dai genitori e mandato a Siena per frequentare le scuole tecniche, giovanissimo, forse ventenne, affronta le prime prove nel campo della pittura. Ospite del barone Bettino Ricasoli, dipinge nel Castello di Brolio alcune figure di guerrieri medievali. L’Aldi troverà nella città del Palio, così singolare, ove sembra ancora resistere nelle tradizioni e nel costume la vita del libero Comune, l’ambiente che da alcuni anni sognava e che gli consentirà di incamminarsi con passo spedito sulla via dell’arte. Iscrittosi all’Accademia di Belle Arti, sotto l’alto magistero del Mussini, Pietro rivelerà un ingegno precoce ed un singolare talento. A soli 20 anni, quando studiava ancora all’Accademia, egli affrontava col Ghino di Tacco la pittura storica, rivelando in questo genere disposizioni felicissime. E’ l’opera di un maestro, più che di un allievo. Eppure siamo solo agli inizi di una carriera che avrebbe dovuto conoscere numerosi successi. Nel 1874 l’Aldi si presentava al concorso per l’Alunnato Biringucci, una borsa di studio riservata ai giovani che avessero dimostrato vocazione per la pittura e scultura. Il tema scelto fu “La sconfitta di Corradino di Svevia a Tagliacozzo”. Gli esaminatori, Amos Cassioli e Cesare Maccari, trovarono il bozzetto “artisticamente, chiaramente sviluppato, abbastanza eseguito per disegno” e conludevano il loro verbale esprimendo la certezza che l’Aldi, sempre che lo avessero sorretto l’amore e lo studio avrebbe fatto “onore a sé e all’arte”. Ottenuto il conferimento dell’alunnato Pietro si recava a Venezia, per un breve periodo di studio, nell’agosto scriveva: “In questa città ho trovato delle opere meravigliose. Tiziano, Tintoretto, Veronese e tanti altri sommi offrono largo campo di studio. Ho fatto e faccio delle copie per meglio interpretare gli antichi e bravi maestri, e non tralascio circostanza per perfezionare il gusto del bello e del buono, onde sempre seguire la retta via dell’arte”. Tornato al suo paese, Manciano, ai primi di ottobre dello stesso anno, vi trascorreva tutto il mese e quindi si stabiliva a Roma, dove, con molta fatica, riusciva a trovare uno studio soddisfacente in Via San Niccolò da Tolentino. Qui si poneva al lavoro, ma il clima di Roma e alcuni dispiaceri familiari lo costringevano più volte a tornare in famiglia. Nel 1876, alla fine del biennio, l’Aldi chiedeva la conferma dell’alunnato inviando alla Fondazione un quadro che crediamo di dover identificare in quello della Maddalena. Più recentemente la critica ha inteso rivalutare i quadri in cui l’Aldi affronta il tema religioso. Si tratta di un gruppo di opere: la Maddalena, l’Annunciazione, il Beato Angelo, San Bernardino da Siena, San Paolo della Croce, nate tra il 1875 e il 1878 (anni dell’alunnato), giudicate da alcuni esperti rappresentare un certo misticismo medievale. Forse sono più vicine, tali opere, alla pittura senese del quattrocento, quale punto di riferimento. L’anno 1878 segna un punto fermo nella vita di Pietro, si conclude il periodo dell’alunnato e comincia la grande stagione artistica in cui il pittore mancianese, ultimo dei romantici, affida al quadro storico il proprio messaggio culturale. L’unità d’Italia è ormai un fatto compiuto e l’arte e la letteratura si propongono di infondere nel popolo i sentimenti di patria e di amore nella libertà, intesa anche come indipendenza dallo straniero. Vi sono una serie di opere dipinte dall’Aldi in cui si possono cogliere tutti i motivi che furono cari alla scuola romantica: “Le Ultime ore della libertà  senese, l’Armistizio di Vignale e l’Incontro di Teano”, che hanno affinità poetica fra l’Aldi e il Carducci. I due si conobbero a Orbetello, il 13 maggio 1879, in casa Raveggi, una famiglia di ardenti patrioti che aveva partecipato alla Spedizione dei Mille, conoscendo Garibaldi durante la sosta a Talamone. Quella sera per onorare il grande poeta, si erano riuniti in casa Raveggi i più noti patrioti maremmani. Olinto Aldi, combattente di Curtatone, non poteva mancare e con lui il figlio Pietro. Il pittore e lo scrittore finirono per familiarizzare, nacque così il ritratto di Carducci. Il ritratto e il quadro storico sono i motivi che dominano tutta l’arte di quel periodo, essendo il messaggio “urbi et orbi” dell’artista verso il tempo. Le stesse cose si possono scrivere per l’Aldi, ci sfilano così davanti ritratti di famiglia e quelle di alcune figure di vecchi popolani che avevano colpito la sua sensibilità artistica vedi: Don Leonardo Aldi, Ciro Aldi Mai, Apollonia Aldi Mai, Valentina, Leonardo Coretti e Sabatino Matergi. Sono ritratti acuti, ben impostati, trattati con una finezza d’analisi psicologica che si estrinseca in una ricerca attenta di passaggi chiaroscurali precisi. Tuttavia, la fama dell’Aldi è affidata ai suoi quadri storici. La prima opera importante è il Buoso da Duara, presentato all’Esposizione di Piazza del Popolo a Roma, nel 1878.

Figure lungo le mura

La critica dedicò ampio spazio all’opera del pittore mancianese su “L’Italia Artistica” dell’8 marzo 1879. Da questo momento l’attività dell’Aldi non conosce soste. Egli ritorna con insistenza su un tema che già aveva tentato nel 1878 e che intendeva sviluppare in omaggio alla città che lo aveva avviato sul difficile cammino dell’arte. Pensa di trasferire sulla tela le immagini di storia “Le Ultime Ore della Libertà Senese”. A poco a poco, il disegno prende corpo nella mente del pittore concretizzandosi in un vero e proprio capolavoro, ed ottenne dal pubblico e dalla critica, un vasto riconoscimento. Negli anni a venire ci dà un numero veramente imponente di opere. Del 1883 sono due i quadri sulla vita di Ildebrando di Soana, eseguiti per la cattedrale di Pitigliano. Nel primo è rappresentato il piccolo Ildebrando che, giocando nella bottega paterna, compone con i pezzetti di legno sparsi per terra la frase profetica “Un giorno diverrò un grande personaggio”. Nell’altro Ildebrando, divenuto Papa Gregorio VII, è a Canossa e si assiste all’umiliazione dell’Imperatore Enrico IV. Sempre su commissione della Diocesi di Sovana e Pitigliano dipinge San Gregorio Magno. Seguono altre opere più o meno fortunate. In questi anni l’Aldi è spesso a Manciano per ritemperare le sue forze e per trascorrere con gli amici qualche ora di gaia spensieratezza. Nascono così quasi per gioco alcuni quadretti, ad olio o ad acquarello, che rivelano gli angoli più belli del paese e suoi dintorni. Con la “Giuditta” ottenne la medaglia d’oro all’Esposizione Vaticana del 1888, ed inoltre eseguì nel Palazzo Comunale di Siena due celebri affreschi, “L’Armistizio di Vignale” e “L’Incontro di Teano”. Seppe fissare quei due momenti storici con grande chiarezza ed evidenza, senza sacrificare nulla alla pittoricità delle scene luminose e palpitanti di colore. L’Editore Vallardi ne fece eseguire riproduzioni a colori, e furono i due esemplari più fortunati dell’iconografia patriottica. L’Aldi si preparava a partecipare all’Esposizione Universale di Parigi del 1889, la stessa che vide l’inaugurazione della Torre Eiffel, con un quadro di grandi dimensioni raffigurante Nerone che contempla l’incendio di Roma. Purtroppo l’opera non fu mai portata a compimento. Il destino fu crudele e spietato con lui, e il 18 maggio del 1888, stroncato da un attacco di pleurite, dopo aver partecipato attivamente e gioiosamente, il primo giorno del mese, ai solenni festeggiamenti, conclude la sua breve parabola terrena.

La morte coglieva il giovane artista in un momento delicato e importante della sua carriera, proprio quando avrebbe potuto esprimere più compiutamente la sua personalità. Pochi cenni bastano a dare una dimensione di questo personaggio: sedici anni di attività (compreso il periodo giovanile), trenta opere importanti, una messe notevole di disegni, un centinaio di bozzetti, alcune decine di ritratti. Potremmo dire con una espressione retorica che l’arte fu la sua vita e la sua bandiera. Trattò con pari bravura i vari generi: il carboncino, l’acquarello, l’olio e l’affresco. Rimane qualche esempio di incisione, un’arte alla quale si dedicò nel periodo migliore della sua carriera. Ogni sua opera è stata a lungo sofferta. Ne sono testimonianza i numerosi studi preparatori, attraverso i quali è possibile seguire la genesi della ricerca creativa. Si passa dal semplice appunto, al disegno dei particolari, al bozzetto ad olio in cui i colori cominciano a dare corpo e profondità alla scena. La precisione, il controllo, la perfezione tecnica sono alla base di ogni suo lavoro. Il quadro storico fu il campo in cui egli lavorò con ardore più vivo, ma non seppe né volle chiudersi in esso, in quanto, amando l’arte con passione profonda, non poteva avere lo spirito chiuso al linguaggio immenso della natura. E questa amò specialmente là ove la sentì vibrare di poesia, inseguendone le riposte bellezze e traducendo le sue sensazioni in lavori di una finezza squisita, quali le scene e i paesaggi. La sua vita di giovane perfetto artista, come lo definì l’altro suo grande conterraneo il soranese Manfredo Vanni, scrittore e poeta, fu una passione bruciante ed un affanno di lavoro, quasi egli sentisse nel suo subcosciente la predestinazione della fine immatura.

Please follow and like us:
Pin Share

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *